Casa Lanza: dimora ermetica

“Nascondi in bella vista quel che è segreto”

Innumerevoli sono i misteri custoditi dagli antichi monumenti della città di Randazzo. Edifici all’apparenza normali, difatti, nascondono antiche conoscenze esoteriche abilmente celate agli occhi dei più, decifrabili solo dagli “iniziati” e che oggi sfuggono alla nostra comprensione. Tra questi troviamo Casa Lanza, uno degli edifici nobiliari più singolari della città.

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Figura 1: Randazzo, Casa Lanza
Figura 2: Il prospetto principale della casa, in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto

Essa è ubicata nel quartiere di Santa Maria all’angolo tra via Guglielmo Marconi (la vecchia via Granatara) e l’omonima via. Il palazzetto prende il nome dalla famiglia Lanza (o Lancia, o Lancea), che ne fu proprietaria dalla metà del XIV secolo.
La famiglia Lancia, originaria del Piemonte, discende dai marchesi aleramici del Vasto.

Albero genealogico della famiglia Lancia

Il primo a portare l’epiteto Lancia[1], almeno dal 1187[2], fu Manfredi I, figlio di Guglielmo del Vasto marchese di Busca, potente feudatario, ma essendosi fortemente indebitato a causa delle spese militari e dei suoi sperperi, fu costretto, negli anni, ad alienare molti possedimenti. Suo figlio, Manfredi II, cercò di riacquistare potere servendo alla causa imperiale. Egli si rivolse al giovane Federico II di Svevia[3], al servizio del quale acquistò subito una grande importanza. Manfredi fu uno dei primi a ricoprire le nuove cariche create da Federico II: nel 1216 fu nunzio di Federico II in Piemonte, nel 1238 era già vicario generale dell’Impero “a Papia superius”[4] e dilectus fidelis dell’Imperatore, tra la fine del 1240 e l’inizio del 1241 assunse la carica di vicario generale dell’Impero “a Papia inferius”[5] la quale prevedeva anche la podesteria di Cremona. Manfredi fu al fianco di Federico dapprima solo sporadicamente – nell’agosto del 1226 a Sarzana, nel luglio del 1230 a San Germano, fine luglio del 1231 a Melfi – poi la sua presenza, da fine dicembre del 1231, fu assidua: accompagnò Federico a Ravenna e a Venezia e in seguito ritornato lo stesso nel Regno di Sicilia, Manfredi lo seguì: fine luglio e primi di settembre è attestato a Menfi, nei primi giorni di dicembre a Precina. Nel mese di marzo del 1233 seguì Federico nelle operazioni militari contro le città ribelli in Sicilia: un diploma rogato nel mese di maggio lo attesta a Messina. Nel mese di settembre del 1234 fu al suo fianco a Montefiascone per combattere una fazione ribelle al papa. È probabile che, nel 1235, Manfredi accompagnò l’Imperatore anche nella sua spedizione in Germania, poiché nel gennaio successivo ebbe l’incarico di condurre prigioniero in Puglia, il ribelle Enrico, primogenito di Federico, destituito da re di Germania. Solo nel 1238 Manfredi rientra nella regione natia.
Manfredi II fu zio di Bianca Lancia la nimis pulchra, ultima moglie di Federico II, da lui sposata in articulo mortis. Quando il marchese si trasferì al seguito di Federico II, molto probabilmente, fu seguito dalla moglie e da alcuni membri della famiglia, pertanto è probabile che l’incontro tra i due amanti sia avvenuto tra il 1226 e il 1230. Certo è che dalla loro unione nacque, nel 1230 Costanza che prese il nome della madre di Federico II, Costanza d’Altavilla, e nel 1232 Manfredi che riprendeva il nome del prozio.
Galvano Lancia, zio di Manfredi e fratello di Bianca, cresciuto alla corte di Federico II, sotto questi fu nel 1240 giustiziere di Sicilia “citra flumen Salsum”, nel 1242 vicario generale della Marca trevigiana, la quale prevedeva anche la podesteria di Padova, capitano generale dell’impero da Amelia a Corneto e nel 1246 stratigoto di Messina. Morto l’imperatore Federico II, Galvano, si recò a Napoli per aiutare il nipote Manfredi nell’acquisizione del Regno di Sicilia. Nel 1251, Manfredi, per ricompensare lo zio dei servigi che aveva reso a suo padre Federico, gli concesse la contea di Butera e gli restituì le terre di San Filippo d’Argirò e di Paternò.
Allontanato, nel 1252, da Corrado IV, fratellastro di Manfredi, rientrò in Italia solo dopo la sua morte, nel maggio del 1254, diventando il più intimo e fidato consigliere del principe. Nel 1256 venne nominato dal nipote signore del Principato nonché Gran Maresciallo del Regno e capitano generale. Prese parte alla drammatica battaglia di Benevento del 1266, dove Manfredi restò ucciso. L’anno dopo si recò in Germania a sollecitare Corradino, ultimo degli Svevi, affinché scendesse in Italia a rivendicare il Regno di Sicilia; nel 1268 fu con lui vinto a Tagliacozzo, fatto prigioniero e decapitato insieme al figlio Galeotto.
Cubitosa d’Aquino[6], qualche anno dopo la tragica morte del giovane marito Galeotto, si trasferì in Sicilia con i figli, dove furono accolti con grandi dimostrazioni d’affetto dalla cugina Costanza, figlia di Manfredi di Sicilia e dal marito Pietro I di Sicilia.
Corrado, figlio di Galeotto e Cubitosa, detto di Castromainardo, fu un valoroso capitano, rivestì la carica di maestro razionale della Magna Curia e quella di secreto di tutta la Sicilia. Fu signore di Castania e da lui discesero, come vedremo, i futuri baroni del Mojo.
Ugone, figlio di Corrado, fu stratigoto di Messina nel 1340 e padre del miles Blasco, il quale nel 1356, quando la città di Messina fu occupata dalle forze angioine, decise di trasferirsi con la sua famiglia a Randazzo[7].
Il 15 settembre 1357 Federico IV di Sicilia(1341-1377), detto il Semplice, scrisse al nobile Blasco Lancia, affinché spedisse al maestro giustiziere Artale Alagona, la procura che doveasi inviare al re di Aragona per ricevere aiuti dallo stesso. Nel 1359 il sovrano ordina all’incaricato della raccolta del denaro in Randazzo, di assegnare, dal primo settembre, al nobile Blasco la rendita di cento once, in vitalizio, sui proventi della sovvenzione di Randazzo, e con il servizio militare di cinque cavalli armati. Il 20 febbraio 1361 re Federico IV intervenne in merito alla controversia intercorsa tra Blasco Lancia e alcuni mercanti genovesi ai quali il Lancia aveva venduto una certa quantità di formaggio in Randazzo, su chi dovesse corrispondere il diritto alla curia di un tarì a cantaro. Il 16 marzo 1361 Blasco ottiene dal re di essere esonerato dalla contribuzione delle tasse in Randazzo perché cittadino di Messina.
Figlio di Blasco fu Manfredi che sposò Rosa Turtureto, figlia di Tommaso barone del Mojo. Dalla loro unione nacque Blasco che per la morte del padre, il 18 febbraio 1453, venne confermato possessore del feudo del Mojo con l’obbligo del servizio militare, dal viceré Simone Beccadelli di Bologna, arcivescovo di Palermo. Anche Blasco ottenne di restare esente dalla contribuzione di qualsiasi tassa in Randazzo.
A Blasco succedette il figlio Manfredi ricevendo l’investitura del feudo il 16 ottobre 1492; questi però lo cedette al fratello Antonio il quale ricevette l’investitura dal viceré De Acuña il 12 settembre 1493. Anche Antonio reclamò il foro della cittadinanza messinese, ma la sua richiesta fu rifiutata.
Morto Antonio, venne investito del feudo, l’8 giugno 1502, il figlio Pietro.
Pietro morì poco dopo, nel 1506, lasciando erede il figlio Antonio, che ricevette l’investitura il 26 marzo di quell’anno, ma a causa della morte di re Ferdinando ebbe una nuova investitura dal viceré De Luna il 5 febbraio 1517.
Pietro, figlio di Antonio, in occasione delle nozze con Aloisia Spatafora, ricevette dal padre il feudo del Mojo come donatio propter nuptias, per il quale venne investito il 31 luglio 1529. Egli morì nel 1563 e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria di Gesù, in fondo al coro a sinistra, dietro l’altare maggiore, dove il figlio Francesco fece erigere il monumento sepolcrale, andato poi perduto, in sua memoria. Esso, così ci viene descritto dal Federico Lancia di Brolo:

«L’elegante avello posa su una base allungata che in centro porta un angelo caricato d’uno scudo incartocciato e stemmato; e ai due lati è inquartata questa poetica epigrafe:

Exigat imperio quovis mors improba fato
Solvere vix iurat vivere quisquis avet

Ha gaie e svelte linee sàgome modanature, e due scudi incartocciati con in centro la seguente iscrizione:

Petro Lanza strenuo equiti Antonii filio, Petri nepoti, Blasci, Alphonsi regis carissimi militis, pronep. clarissima ex equestri primi Corraldi Castrimainardi domini familia, et animi et corporis magnanimitate ac prestantia suorum nulli secundo, Franciscus Lanza filius supraemum hoc ut sibi fatis datum munus patri suavissimo posuit. Decessit anno MDLXIII, et suae etatis 58».

Francesco sposò nel 1559, in Randazzo, in prime nozze, Isabella Sollima, che morì prematuramente nel 1573 ed egli fece erigere in suo onore – di fronte a quello del padre Pietro – un monumento funebre.

IMG_0424 p. 83Figura 3: Monumento funebre di Isabella Sollima, in in una foto, degli inizi del Novecento, pubblicata dal De Roberto

Federico Lancia di Brolo riferisce che esso, di cui oggi resta solo una fotografia pubblicata dal De Roberto, era «il più elegante di quanti ne esistono in Sicilia di quell’epoca del cinquecento» e così lo descrive:

«Lo zoccolo mostra in centro uno scudo ellittico cimato da vezzosa testolina d’angioletto, orlato da cornici policromiche, e accantonato da ambi i lati da tre satiri annicchiati sotto l’embrice. L’avello ha il fronte spartito in tre cassettoni, su cui svolgesi un fascione a basso rilievo di trofei militari, terminato in due mascheroni leoneschi, e sormontato dallo scudo che porta inquartato nel suo campo l’arme dei Lancia e dei Sollyma. Questo sorge in centro al coperchio a volta, lungo il cui embrice siedono attergate a sinistra una figura muliebre dormiente, a cui piedi posano una maschera e una civetta, e a destra un giovane [seduto con affianco un leone accovacciato N.d.A.] con a piè una maschera e un gallo; simboliche immagini che rammentano per le mosse e pel concetto le Michelangiolesche della cappella Laurenziana dei Medici. In alto ammorsato nel muro sta un altro stemma simile col leone per sopratutto, e nell’abisso la luna ottomana, emblema di gesta navali. Leggesi nei tre scompartimenti dell’arca suddescritta:

Et tenebras splendore vincit
Sola virtus nescit occasum

D.O.M. Isabellae Sollimae Ioannis filia, Nicolai nep. magni illius Antonini pron., pietate insigni pudicitia incomparabili ac morum suavitate illustri, quae cum annis fere XIV unanimi consensu ac sine quaerela cum conjuge amantissimo vixisset diem clausit pridie kal augusti an. MDLXXIII.

E sotto l’embrice in mezzo al basamento:

Franciscus Lancea una adhuc animo vivens ac corpore iterum victurus conjugi dulcissimae immatura morte praereptae pietatis et amoris ergo P. Hoc in tanto moerore solatium consequtus quod cum omnibus ex aequo mors fatalis sit non sero sed christiane mori solidam felicitatem esse plane cognosceret».

Francesco, quando i rappresentanti del Governo volevano infeudare la città di Randazzo, fu inviato a Palermo, come rappresentante della Città, nel tentativo di persuaderli da tale decisione. Le trattative, grazie al suo acume e alla donazione di 4000 scudi offerti dalla città di Randazzo, portarono, il 4 novembre 1577, a un accordo, con il quale venne stabilito che «nunquam possit ipsa civitas Randatii a regio demanio separari».
Alla sua morte volle essere sepolto nel mausoleo della moglie Isabella, ordinando che all’interno della cappella fosse posta la statua marmorea della Vergine Maria con il bambino in braccio, che si trovava nella sua casa di Palermo[8].

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Figura 4: La statua marmorea della Vergine Maria nella sua ubicazione originaria in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto
Figura 5: Chiesa di San Martino, statua della “Madonna delle Grazie”

Il Lancia di Brolo riferisce che: «questa sacra immagine di casa Lancia, pregevole per magisterio d’arte e per lo singolare suo atteggiamento, con devoto culto il popolo randazzese venera; ne celebra solennemente la festa annuale, e copia di voti e di ceri le apporta». Attualmente la statua della Vergine è conservata nella chiesa di San Martino.

Il palazzetto presenta elementi architettonici ascrivibili al XIV secolo ma fu profondamente e più volte rimaneggiato nel corso dei secoli.
Probabilmente fu il miles Blasco Lancia a farlo erigere quando nel 1356 da Messina si trasferì a Randazzo.
Esso, rappresenta per la sua struttura architettonica il momento di passaggio tra la casa-torre medievale e il palazzetto rinascimentale.
L’edificio si presenta a pianta rettangolare, disposto su due livelli, con strutture murarie esterne in pietra lavica di diverse dimensioni. La facciata principale si affaccia su via dei Lanza.

IMG_0419 p.158Figura 6: Rilievo architettonico di Casa Lanza eseguito dal Leopold

Al piano terra si aprono due portali in conci di pietra lavica con arco a sesto acuto, di diversa grandezza: uno dava accesso diretto all’interno dell’edificio, l’altro (oggi trasformato in finestra) immetteva nei locali di servizio. Fra i due portali si aprono due monofore a feritoia, in conci squadrati di pietra lavica, che conferiscono all’edificio un aspetto severo e difensivo. Il piano nobile è alleggerito da tre ampie finestre a bifora su archi a sesto acuto con oculus centrale, oggi murate. Una cornice marcapiano, in pietra lavica, ad archetti trilobati poggianti su peducci di arenaria, separa il pianterreno dal piano nobile.

DSC04636Figura 7: La cornice marcapiano

I motivi raffigurati sulla cornice marcapiano presentano una particolarità: a fianco dei motivi floreali e fitomorfi troviamo figure antropomorfe (uomo meditante), zoomorfe (testa d’onagro, rana, polpo e capra[9]), geometriche (come la stella) e oggetti inanimati (come la campana e vasi), che richiamano alla mente antiche conoscenze esoteriche e alchemiche.

La campana identifica il suono della vibrazione primordiale che si svolge in sette note musicali e per questo rappresenta l’unione fra il cielo e la terra.

DSC03755Figura 8: La campana

Essa è legata a rituali magici e religiosi: il suo suono ha il potere di allontanare le energie negative e attrarre quelle positive, per questo motivo a essa è riconosciuto il potere di purificare ed esorcizzare. L’oscillare della campana simboleggia gli estremi del bene e del male, di morte e immortalità. Altresì, essa, per via della sua forma, rappresenta la fertilità, come simbolo di riproduzione e rinascita.

Alquanto enigmatica è l’effigie della testa d’onagro con le corna.

DSC03757Figura 9: La testa d’onagro con le corna

L’asino, e il suo parente selvaggio, l’onagro, assume significati simbolici ambivalenti, a seconda delle culture e dell’epoche.
Per gli Ittiti e gli Hyksos, esso era considerato un animale sacro, simbolo di regalità e sapienza, poiché dotato di orecchie lunghe, le quali costituiscono per la dottrina brahmanica, l’organo attraverso il quale si accede alla conoscenza del mondo invisibile.
Presso gli Egizi, questo animale assume una accezione negativa, diventando una bestia infernale e malvagia, simbolo della lussuria, della morte e del mondo sotterraneo in quanto legato al mito isiaco. Secondo il mito, raccontato nei Testi delle Piramidi e da Plutarco nel suo De Iside et Osiride, Seth – rappresentato con una testa d’asino – uccise e smembrò il fratello Osiride in quattordici pezzi che disperse in tutto il mondo.

Egypt_Mythology_SetFigura 10: Luxor, Valle dei Re, Tomba di Thutmosis III, Raffigurazione di Seth

Iside si mise alla ricerca delle membra del marito e ricostruì il suo corpo. L’asino fulvo era una delle entità più temibili tra tutte quelle che l’anima del morto doveva incontrare nel suo percorso verso l’aldilà.
Per i Caldei era messaggero di morte mentre i Greci sacrificavano asini ad Apollo, dio che punì re Mida facendogli crescere le orecchie d’asino, per aver preferito la musica di Pan alla sua: le orecchie asinine qui, diventano simbolo della sapienza dell’iniziato, che raggiunge il massimo sviluppo interiore. Essi associarono l’asino a Saturno, in relazione con la terra, la materia e la fine delle cose.
Gli Ebrei ritenevano questo animale speciale, perché, secondo il Talmud, esso è una delle dieci cose create dal Signore alla fine del sesto giorno della creazione del mondo e per questo destinato ad apparire nei momenti più importanti della loro vita religiosa. Sansone uccise mille Filistei con una mascella d’asino[10]. Famosa è l’asina di Balaam[11], il mago che Dio trasformò in profeta, è l’unica in grado di vedere l’angelo del Signore[12], divenendo così ponte tra i due mondi.
Anche nel mondo cristiano l’asino ha valenza positiva e nel Vangelo è presente in molti episodi: un asino riscaldò, insieme al bue, il bambino Gesù nella grotta; venne cavalcato da Maria durante la fuga in Egitto e da Gesù quando entrò, trionfante, a Gerusalemme, la Domenica delle Palme. Una leggenda medievale vuole che per quest’ultimo episodio, l’animale porti sulla schiena una specie di croce nera.
I Greci giudicavano l’asino un animale libidinoso mentre i Romani usavano il termine asino per definire un uomo poco intelligente.
L’asino, simbolo sia di sapienza come di ignoranza, è altresì simbolo di trasformazione. Nelle Metamorfosi (nel medioevo diventate L’asino d’oro) di Apuleio, Lucio, il protagonista, mutato in asino perché schiavo dei piaceri e dell’ignoranza mista tuttavia a curiosità verso la magia, deve superate svariate prove, per ritornare alla forma umana, grazie all’intercessione di Iside (la Sapienza). L’allegoria è adoperata per indicare che la materia grezza (asino), deve subire un graduale processo di trasformazione affinché raggiunga un livello di coscienza e conoscenza superiore.
Nel Medioevo la figura dell’asino era fortemente divisa tra bene e male. La maggior parte dei bestiari medievali evidenziano la stoltezza e la caparbietà dell’asino, ma anche la sua condiscendenza, altri invece, tra i quali il “Bestiario di Cambridge” attribuiscono a questo animale, più spesso all’onagro, significati demoniaci.
L’immagine cui forse la nostra effigie s’ispira è menzionata nel Liber monstrorum – redatto intorno al VIII secolo, in cui vengono descritti fascinosi mostri umani, belve fantastiche e serpenti prodigio –, il quale riporta «che nei deserti della Persia, insieme con altri incredibili prodigi, ci siano onagri con corna di bue e con corpi smisurati»[13]. La fonte diretta da cui l’ignoto compilatore, attinse la notizia, fu L’Epistola de rebus in Oriente mirabilibus[14]: «Hascellentia Babiloniam profiscentibus habet stadia IX, quae subjacet regionibus Medorum, omnibus bonis plena. Hic locus serpentes habet capita bina habentes, quorum oculi nocte sicut lucerne lucent. Nascuntur et ibi onagri cornua boum habentes, forma maxima hi»[15].
Nell’ambito alchemico l’asino appare quale simbolo della materia prima dell’Opera, la pietra grezza da trasformare.

Assai singolare è altresì la figura antropomorfa che raffigura un uomo in posizione meditativa: seduto a gambe incrociate con entrambe le mani appoggiate su di esse.

DSC03762Figura 11: L’Uomo meditativo

Probabilmente essa rappresenta l’iniziato che ha raggiunto la gnosis, l’illuminazione, la perfezione, la sua completa iniziazione. L’alchimista che ha realizzato l’Opus Magnum, ottenendo la trasmutazione di se stesso.

La rana è simbolo di rinascita e rinnovamento ma anche d’iniziazione e metamorfosi, dal momento che da uovo diventa girino e infine rana.

DSC03764Figura 12: La rana

Essa, essendo un animale anfibio, si lega all’acqua, associata all’idea della vita, e alla terra, correlata alla materia.
In molte culture antiche questo animale era un simbolo positivo.
Nell’antico Egitto, la rana, considerato un animale sacro, era emblema della creazione e della fecondità sia per il suo legame con l’acqua, che con la dea delle nascite Heqet (o Heket), rappresentata sia come una donna con testa di rana, che dall’animale stesso.

HeketFigura 13: Dendera, Mammisi, Raffigurazione della dea Heket

I Greci e i Romani credevano che, in quanto animale anfibio, fosse capace di attraversare la soglia tra due mondi.
Per gli Ebrei, al contrario, la rana è considerata un animale “impuro”.
Nel modo cristiano questo animale assunse un duplice significato: poiché si riteneva che rinascesse ogni anno in primavera, essa, inizialmente, divenne il simbolo della Resurrezione. In seguito acquisì una valenza negativa, ciò derivò dalla rielaborazione sia del racconto dell’Esodo, dove un’invasione di rane costituì la seconda piaga d’Egitto[16], che dall’Apocalisse, dove è associata al male: «dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta vidi uscire tre spiriti immondi, simili a rane»[17]. Sulla scia di quest’ultima, alcuni Padri della Chiesa, per la sua abitudine di sguazzare nel fango e per il suo sgradevole e insistente gracidare, ci videro un simbolo del diavolo o del pensiero eretico. Successivamente divenne anche immagine della lussuria, dell’invidia e dell’avarizia.
Durante il Medioevo questo animale è stato associato con il mondo della magia e della stregoneria.
Nell’ambito alchemico la rana rappresenta la “materia prima”, in quanto elemento legato alla terra.

Il polpo simboleggia l’astuzia e il sapere; simbolo della natura allo stato embrionale.

DSC04630Figura 14: Il polpo

Esso, fin dall’antichità, fu associato alla primigenia comparsa della vita o alla sua perpetuazione.
Nell’antica Grecia il polpo, insieme col granchio e il gambero, fu connesso al segno zodiacale del Cancro, segno in cui cade il solstizio d’estate, associato alla Janua Inferi, ossia la porta dell’Inferno, pertanto talvolta assunse un senso negativo.
Nel simbolismo cristiano, questo animale rappresenta il demonio che raggira le anime con lusinghe, le avvolge nei suoi tentacoli e le divora.
Qui, il polpo è raffigurato con sei tentacoli. Il sei, numero perfetto e dell’armonia, per François Arnauld «evoca la prova iniziatica, la scelta fondamentale che implica l’impegno attivo dell’iniziato a seguire la via dell’elevazione spirituale, senza disperdersi in illusioni»[18].

La stella a sette punte è posta sopra un arco, che simboleggia la volta celeste. La stella rappresenta la ricerca della conoscenza.

DSC03766Figura 15: La stella a sette punte

Il simbolo della stella a sette punte o Eptagramma chiamata anche stella di Venere, è un segno esoterico la cui interpretazione risulta molto complessa.
L’Eptagramma si lega al simbolismo del numero sette – numero sacro per eccellenza – e rappresenta le sette sfere celesti, le sette gerarchie angeliche, le sette note musicali, che rappresentano insiemi perfetti, l’Armonia.
Esso è il simbolo del “Tutto” poiché fusione tra cielo (tre) e terra (quattro), tra divino e uomo. Nel simbolismo esoterico il suo centro rappresenta la comunicazione tra mondi diversi.
La stella a sette punte è chiaro simbolo dell’Opera alchemica. Essa, è presente in una delle formelle della cattedrale di Amiens, in Piccardia.

champagne_amiens_astre_ipgFigura 16: Cattedrale d’Amiens. L’astro dai sette raggi

Il bassorilievo illustra una scena d’iniziazione: il Maestro indica ai tre discepoli una stella a sette punte, per il Fulcanelli l’astro ermetico «la stella tradizionale che serve da guida ai Filosofi e indica loro la nascita del figlio del sole», egli conclude, altresì, ricordando l’arcano motto di Nicolas Rollin, cancelliere di Filippo il Buono, dipinto, nel 1447, sul rivestimento dell’ospedale di Beaune, di cui fu il fondatore. Questo motto, presentato alla maniera di un rebus – Seulle ★(a sette punte) – secondo Fulcanelli «manifestava la scienza del suo possessore col segno caratteristico dell’Opera, l’unica, la sola stella»[19].
Il monaco benedettino, Basilio Valentino, alchimista medievale, nel suo Azoth, la raffigura inscritta in un cerchio, all’interno del quale si trova la frase: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (V.I.T.R.I.O.L.), che vuol dire “Visita l’interno della terra e rettificando troverai la pietra nascosta”.

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Figure 17-18: Immagini alchemiche che rappresentano il V.I.T.R.I.O.L.

Un invito a trovare dentro sé stessi il proprio perfezionamento interiore per raggiungere la “Pietra dei Filosofi”, la Conoscenza, la Saggezza.
Per l’alchimista Filalete la materia della Pietra Filosofale «quando cade la notte, brilla come una stella e illumina le stanze oscure»[20].

La capra è un animale dal forte valore simbolico ed esoterico.

DSC03776Figura 19: La capra

Presente in tutte le culture del mondo, ha assunto, fin dall’antichità, un duplice significato, sia positivo che negativo.
Presso molti popoli dell’antichità la capra era considerata un animale sacro, simbolo di abbondanza e di fertilità.
Nella mitologia greca la capra Amaltea fu la nutrice del piccolo Zeus che la madre, Era, aveva nascosto nell’isola di Creta per proteggerlo dal padre Crono che divorava i propri figli. Zeus, divenuto adulto e re degli Dei, la immortalò fra le stelle della costellazione del Capricorno e a una delle sue corna, che si era spezzata, diede il potere di procurare, agli uomini cibi, bevande e prosperità. Il corno rotto di Amaltea divenne così la cornucopia, simbolo dell’abbondanza. La capra era uno degli animali sacri a Dionisio, figlio di Zeus e Semele.
Nella l’antica Creta, la Dea Madre era generalmente raffigurata come una capra che allatta un bambino, mentre alcuni popoli delle sponde orientale e settentrionale del Mediterraneo, fecero di questo animale, per l’acutissima vista, uno degli emblemi dell’Iniziazione.
Per la legge ebraica la capra è un animale “puro”, quindi può essere macellato per essere mangiato e, in passato, usato per i sacrifici.
Nella religione cristiana questo animale assunse un significato negativo e venne associato al demonio, spesso raffigurato con sembianze da caprone antropomorfo.
In alchimia la capra è simbolo della Grande Opera.

I tre vasi, di cui uno a forma di cuore, rappresentano sia il crogiolo alchemico[21], chiamato anche Athanor, che le tre fasi dell’opera alchemica[22].

DSC03778Figura 20: I tre vasi

“La materia prima”, mescolata con lo zolfo e il mercurio, era posta dall’alchimista in un crogiolo e fatta cuocere nel forno alchemico, dove si trasformava gradualmente, passando attraverso tre fasi – Nigredo, Albedo e Rubedo – in Pietra Filosofale.

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Figure 21-22: Crogioli alchemici

In definitiva, appare evidente che il committente, depositario di conoscenze riservate ai pochi, volle celare un qualche messaggio ermetico decifrabile solo da chi era in grado di poterlo leggere e comprendere.

NOTE

[1] Secondo alcuni cronisti e storici l’appellativo “Lancia” gli era stato attribuito perché, in gioventù, Manfredi (I) era stato lancifero presso la corte dell’imperatore Federico Barbarossa. Il cronista piemontese Antonio Astesano, trattando della cessione di Castagnole e Loreto fatta da Manfredi marchese di Busca alla città di Asti, nel 1206, racconta, altresì, perché Manfredi fu detto Lancia: «Affinché non ti sia celato (o lettore) perché Manfredi marchese di Busca sia stato detto Lancia apprendilo da queste mie parole; mentre questo giovinetto era paggio portatore della lancia dell’Imperator Federico Barbarossa e di giorno e di notte seguivalo sempre, una volta mentre cavalcava dentro forti selve durante una buja notte, fu colto dal sonno, e la lancia che sempre inalberata tenea si ruppe fra i duri rami del bosco. E perché allora per accidente la lancia gli si ruppe in mano, come se avesse contro fieri nemici pugnato, fu dalla gente d’arme a lui compagna soprannominato Lancia, quasi per ischerzevole detto; ma cotal nome gli restò appiccato per sempre». (Lancia di Brolo F., Dei Lancia di Brolo. Albero genealogico e biografie, Palermo 1879, p. 27 nota 1) Altri, invece, avanzano la suggestiva ipotesi che l’epiteto fosse stato già dato a qualche membro della famiglia che partecipò alle Crociate e che riportò la Sacra Lancia (Ivi, p. 27).
[2] Il marchese, appare per la prima volta come Manfredum Lanceam, in un documento datato 14 febbraio 1187, riportato dal Codice Astese. Merkel C., Manfredi I e Manfredi II Lancia. Contributo alla storia politica e letteraria italiana nell’epoca Sveva, Torino, 1886, pp. 16-17.
[3] É probabile che Manfredi abbia incontrato Federico II, nel 1212, quando questi in viaggio verso Francoforte, dove sarebbe stato incoronato re di Germania, passò dal Piemonte.
[4] Federico II, nel 1238, divise la Lombardia in tre Vicariati: il primo detto a Papia superius, il secondo a Papia inferius e il terzo fu quello della Marca trevigiana. Il vicariato da Pavia in su sottopose alla giurisdizione di Manfredi le città di Pavia, Vercelli, Tortona, Novara, Asti ed Alba nonché i marchesi e i castellani che nella stessa regione avevano feudi imperiali. Ivi, pp. 159-160.
[5] Da Pavia in giu.
[6] Figlia di Tommaso d’Aquino, figlio di Adenolfo, e Margherita, figlia naturale di Federico II di Svevia.
[7] Così scriveva re Federico IV di Sicilia ai secreti di Randazzo: «Civitatem Messanam ejus patriam occupatam per hostes nostros antiquos cum suis amplis facultatibus in ea positis dereliquit, nostramque sequtus est excellentiam in adversis […] et culmini nostro gessit cum tota animi puritate, grataque satis et accepta servitia per eum praestita dictis dominis progenitoribus et fratri nostro regibus, atque nobis.
Ante occupationem dictae civitatis per ostes et rebellos nostros cum ejus uxore et familia recessit, et in terra Randatii commoravit usque ad praesens». Lancia di Brolo F., Dei Lancia di Brolo, op. cit., p. 122.
[8] «Dicta ejus capella integre expediatur, et ibi mittatur imago gloriosae virginis matris Mariae lapidis marmoreae, ad praesens existens in hac urbe Panormi in domo in qua habitat». Ivi, p. 180.
[9] La fessura ben visibile dello zoccolo indica chiaramente che si tratta di una capra.
[10] La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della C.E.I., Roma, CEI-ULCI, 2001, Giudici 15, 14-16.
[11] Alcuni autori antichi, tra cui Origene, tendono a identificare Balaam con Zarathustra.
[12] Sulla medesima asina Abramo avrebbe portato sul monte la legna destinata al sacrificio di Isacco e su essa la moglie e i figli di Mosè sarebbero andati nel deserto. Collin de Plancy J., Dictionnaire Infernal, Paris, 1863, ad vocem Ane, p. 33.
[13] Liber monstrorum, introduzione, edizione, versione e commento di Franco Porsia, Bari, Dedalo libri, 1976, pp. 224-225.
[14] Stilata tra il VI e il VII secolo, è conosciuta anche con i titoli di Lettera all’imperatore Adriano sulle Meraviglie dell’Oriente o di Epistola Premonis regis ad Traianum imperatorem.
[15] Faral E., Une source latine de l’Histoire d’Alexandre. La lettre sur les merveilles de l’Inde, in «Romania. Recueil trimestriel consacré a l’étude des langues et des littératures romanes», 43e année, Paris, 1914, p. 354.
[16] La Sacra Bibbia, op. cit., Esodo 8, 1-11.
[17] Ivi, Apocalisse di Giovanni 16, 13.
[18] Arnauld F., Numerologia. Significato dei numeri e loro interpretazione, seconda edizione, Rifreddo (Cuneo), Edizioni R.E.I., 2015, p. 30.
[19] Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali e l’interpretazione esoterica dei simboli ermetici della grande opera, Roma, Edizioni Mediterranee, 2005, p. 251.
[20] Philalethen E., Lumen de lumine Oder Ein neues Magisches Licht, Hamburg, 1693, p. 80.
[21] Trattasi di un vaso aperto, una ciotola, un mortaio o un calderone aperto all’esterno ma capace di contenere della materia.
[22] Il numero delle fasi dell’opus alchemico varia, a seconda dei trattati, da tre a cinque.

FONTI ARCHIVISTICHE

Archivio di Stato di Palermo, Fondo Regia Cancelleria, Vol. 4, ff. 177v- 178r.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

ARNAULD F., Numerologia. Significato dei numeri e loro interpretazione, seconda edizione, Rifreddo (Cuneo), Edizioni R.E.I., 2015.

CATTABIANI A., Acquario, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002.

CHARBONNEAU-LASSAY L., Il bestiario del Cristo: la misteriosa emblematica di Gesù Cristo, Roma, Edizioni Arkeios, 1994, vol. 1.

COLLIN DE PLANCY J., Dictionnaire Infernal, Paris, 1863.

COOPER J. C., Dizionario dei simboli: tradizionali di tutto il mondo, traduzione e cura di Silvia Stefani, Padova, Franco Muzzio Editore, 1987.

FARAL E., Une source latine de l’Histoire d’Alexandre. La lettre sur les merveilles de l’Inde, in «Romania. Recueil trimestriel consacré a l’étude des langues et des littératures romanes», 43e année, Paris, 1914.

FULCANELLI, Il mistero delle cattedrali e l’interpretazione esoterica dei simboli ermetici della grande opera, Roma, Edizioni Mediterranee, 2005.

GUÉNON R., Simboli della scienza sacra, Traduzione di Francesco Zambon, Milano, Adelphi, 1975.

La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della C.E.I., Roma, CEI-ULCI, 2001.

LANCIA DI BROLO F., Dei Lancia di Brolo. Albero genealogico e biografie, Palermo 1879.

Liber monstrorum, introduzione, edizione, versione e commento di Franco Porsia, Bari, Dedalo libri, 1976.

MASPERO F., Bestiario antico, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1997.

MERKEL C., Manfredi I e Manfredi II Lancia. Contributo alla storia politica e letteraria italiana nell’epoca Sveva, Torino, 1886.

PHILALETHEN E., Lumen de lumine Oder Ein neues Magisches Licht, Hamburg, 1693.

SAN MARTINO DE SPUCCHES, F., La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di sicilia dalla loro origine ai nostri giorni (1925), Palermo, 1927, vol. V, quadro 597.

SELLA Q., Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, Roma, 1887, vol. I.

FONTI INTERNET

CARDINI F., Mostri, belve, animali nell’immaginario medievale: L’asino, <http://www.mondimedievali.net/Immaginario/Cardini/asino.htm >, agg. 2016.

IERACE G. M. S., L’ano dell’asino, <http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=489>, agg. 2016.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Le fotografie e le illustrazioni riprodotte nell’articolo, quando non specificato diversamente, sono state eseguite dall’autrice.

Figura 2: Il prospetto principale della casa, in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto, tratta da: De Roberto F., Randazzo e la Valle dell’Alcantara, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche Editore, 1909, p. 37.

Figura 3: Monumento funebre di Isabella Sollima, in in una foto, degli inizi del Novecento, pubblicata dal De Roberto, tratta da: Ivi, p. 83.

Figura 4: La statua marmorea della Vergine Maria nella sua ubicazione originaria in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto, tratta da: Ivi, p. 81.

Figura 6: Rilievo architettonico di Casa Lanza, tratto da: Leopold W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007, p. 158.

Figura 10: Luxor, Valle dei Re, Tomba di Thutmosis III, Raffigurazione di Seth, immagine tratta da: <https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Egypt.Mythology.Set.jpg>, agg. 2016.

Figura 13: Dendera, Mammisi, Raffigurazione della dea Heket, immagine tratta da: <https://it.wikipedia.org/wiki/Heket#/media/File:DendaraMamisiKhnum-10.jpg>, agg. 2016.

Figura 16: Cattedrale d’Amiens. L’astro dai sette raggi, tratta da: Fulcanelli, Le mystère des Cathédrales et l’interprétation ésotérique des symboles hermétiques du grand oeuvre, Paris, 1926, Pl. XXVII.

Figure 17-18: Immagini alchemiche che rappresentano il V.I.T.R.I.O.L., tratte da: Basile Valentin, Azoth. Ou le Moyen de faire l’Or caché des Philosophes, Parigi, 1659, pp. 146, 179.

Figure 21-22: Crogioli alchemici, immagine tratta da: Idem, Les Dovze clefs de philosophie de frère Basile Valentin, traduction francoise, Paris, 1660, clef VI; Adam McLean, Il vaso alchemico come simbolo dell’anima, <http://www.kuthumadierks.com/pageopen.asp?r=trio&id=176>, agg. 2016.

Casa Lanza: dimora ermeticaultima modifica: 2016-07-08T12:36:20+02:00da angela-militi
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3 risposte a Casa Lanza: dimora ermetica

  1. severgiuse scrive:

    Scusa il finale non era quello !!!
    Ma:
    …. il tuo lavoro.
    Sai quello che amo affermare: abbiamo tutti torto e nessuno ragione.

    • angela-militi scrive:

      Gentilissimo Giuseppe,
      ti ringrazio per l’attenzione prestata al mio lavoro.
      Penso che queste raffigurazioni si prestano a varie interpretazioni simboliche.
      Nessuno di noi detiene la verità assoluta.
      Un saluto.
      Angela

  2. severgiuse scrive:

    Cara Angela, complimenti per le informazioni, note, foto e impegno nel cercare (invano) di destare interesse per il nostro sventurato centri storico. Obiezioni: Randazzo centro militare fortemente feudale e clericale, viva presenza dell’ Inquisizione. Dubito che si lasciassero sfuggire simili sottintesi.
    Iconografia: rana e piovra totalmente fuori stile.
    Stella sette punte perché è la cometa e sta sulla grotta della Natività, rane e polipi sono le capanne dei pastori, capre e coppe per offrire il latte, palma e personaggio accovacciato ricordano l’ Oriente.
    Campana celebrazione, 5 palle nobiltà.
    Insomma un presepe.
    Strano che il Medioevo sia essenzialmente cristiano? La Massoneria non se ne avrà a male !!!
    Con affetto, le mie semplici osservazioni che non vogliono sminuire il tipo

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