I resti della chiesa di San Mattia: una probabile chiesa templare?

Tra le diciannove stampe fotografiche realizzate dai fratelli Biondi, nel 1891 e pubblicate all’interno del volume “Raccolta delle fotografie dei monumenti antichi della provincia di Catania”, suscita particolare interesse quella che immortala la facciata meridionale del “Palazzo dimora del conte Ruggiero” (fig. 1), meglio conosciuto come “Palazzo Rumolo”, ubicato lungo il corso Umberto I, di fronte l’ex monastero di Santa Caterina.

167 Figura 1: Facciata meridionale del Palazzo Rumolo, in una stampa fotografica dei fratelli Bianchi, 1891

Osservando bene l’antica stampa, si può ben vedere come, oltre l’antico palazzo, ormai completamente trasformato, sia stato immortalato, in primo piano, un edificio con una piccola abside semicircolare.

Stando alle uniche notizie del reverendo Plumari, circa l’onomastica e l’ubicazione delle chiese della città di Randazzo, trattasi della «Chiesa di Sto Mattia Apostolo, esistente profanata presso il Palazzo di Romolo»[1].

La mappa catastale urbana di Randazzo del 1877, invece, ci fornisce la sua precisa ubicazione (fig. 2).

Mappa 1877 palazzo e chiesa Figura 2: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877

Parte della chiesa è tutt’ora esistente ed è adibita a magazzino (fig. 3).

Immagine satellite Figura 3: Immagine satellitare (da Google Earth 2020) dell’area ove insistono i resti della chiesa di San Mattia

La chiesa dedicata a San Mattia Apostolo si pensa risalga agli inizi del XIV secolo. Essa presenta una pianta basilicale ad unica navata con un’abside semicircolare.

Dall’analisi eseguita sulle immagini satellitari georeferenziate si rileva che l’orientazione della chiesa di San Mattia, pur rispettando il criterio Versus Solem Orientem, che consisteva nell’orientare i luoghi di culto verso l’oriente, tanto raccomandato dalla Chiesa di Roma durante il medioevo, fu orientata in modo da coincidere con il sorgere del Sole, all’orizzonte naturale locale, nei giorni 25 marzo e 8 settembre del calendario Giuliano, ovvero nei giorni in cui la Chiesa cattolica festeggia l’Annunciazione (Incarnatione Domini) e la Natività di Maria. Date in cui cadevano due importanti feste particolarmente solennizzate dai Cavalieri Templari.

L’orientazione rilevata, unitamente alla dedicazione della chiesa a San Mattia – santo caro ai Templari – rappresentano una ulteriore conferma dello stretto legame che esisteva tra la Città e l’Ordine dei Cavalieri Templari[2].

RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare di cuore Beppe Petrullo e Claudio Sinagra per il tempo dedicatomi.

NOTE

[1] Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, voll. I-II, ms. 1847-9, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77 (Biblioteca Comunale di Randazzo riproduzione in fotocopia), vol. I, Libro III, p. 325, n. 70.
[2] Militi A., Randazzo segreta. Astronomia, geometria sacra e misteri, Acireale-Roma, Tipheret, 2012.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Figura 1: Facciata meridionale del Palazzo Rumolo, in una stampa fotografica dei fratelli Bianchi, 1891, Raccolta delle fotografie dei monumenti antichi della provincia di Catania, 1891, Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero” di Catania, Museo.5.31, http://websrv.archeo.unict.it:8080/items/show/6229#?c=0&m=0&s=0&cv=0 (ultimo accesso: 01-02-2022). Le diciannove stampe fotografiche sono state pubblicate nella Gallery del blog “Randazzo segreta” https://randazzosegreta.myblog.it/foto/randazzo-immortalata-dai-fratelli-biondi-1891/.
Figura 2: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877: Montera C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983, p. 8.

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Il misterioso tesoro della Maddalena

Il monastero di San Giorgio è un luogo affascinante e suggestivo dove sacro e leggende si mescolano inestricabilmente.

DSC00793 Figura 1: Randazzo, Monastero di San Giorgio

Il monastero è famoso per alcuni antichi passaggi sotterranei, oggi occultati, che lo collegherebbero a stanze sotterranee e alla chiesa di Santa Maria.

Un’antica leggenda, infatti, narra che proprio sotto il monastero si trovi l’ingresso di una grotta, che si apre nelle balze dell’Alcantara, dalla quale partirebbe un cunicolo sotterraneo che collega lo stesso monastero alla chiesa di Santa Maria e alla fine del quale si troverebbe una camera segreta che custodisce un inestimabile tesoro incantato, costituito da innumerevoli oggetti preziosi, tra cui una chioccia con i suoi pulcini in oro, tempestati di pietre preziose[1].

Museo del Duomo, Monza, Tesoro, Chioccia con i pulcini.

Figura 2: Monza, Museo del Duomo, Tesoro, Chioccia con i pulcini

Un’altra affascinante leggenda vuole che sotto il monastero vi sia nascosto il misterioso Tesoro della Maddalena, tesoro d’inestimabile valore che da sempre ha suscitato particolare interesse.

Il primo a riferirci del tesoro fu Francesco Onorato Colonna nel suo manoscritto Idea dell’Antichità della città di Randazzo:

Fuori li muri nel monte detto della Maddalena che sporge sopra il fiume, Corre fama incontrastabile che vi fosse, un gran Tesoro, onde animati alcuni capricciosi ricercarono L’ordine del Regal Patrimonio di poter difossare, e Cavare detto Tesoro; ottenutolo alla fine nello scassarsi entro una gran Grotta fù trovato un’altro Sepolcro di piombo grandissimo, e dentro, un scheretro smisurato di Gigante, che la trascuragine dell’abitanti non curò pigliarne le misure e lasciarne scritta la memoria, non però hà potuto cancellarsi dalla mente di tutti quelli cittadini[2].

In seguito il reverendo Plumari nella sua Storia di Randazzo riprende la notizia ed aggiunge altri particolari:

Nel principio del XVIII secolo sono entrate nella Clausura di esso Monastero varie Persone, previo il permesso dell’abolito Tribunale del Real Patrimonio, e del Prelato Diocesano, le quali scesero per una Strada sotterranea, che sporgeva nel Giardino di esso Monistero, ed ivi hanno trovato molte stanze grottesche con dentro varie Urne di sepolcri di umani Cadaveri di statura più grande di quella ordinaria della presente Generazione. L’ignaro Volgo si dava a credere, che in tal Luogo vi fosse stato un Tesoro, nomato il Tesoro della Maddalena , occultato da Saracini. Altri Osservatori, poi, vi entrarono nell’anno 1770, previe le debite Licenze, affidate alla Vigilanza del fù Arciprete D. Antonio Ventura, Zio Materno della mia Genitrice, qual Visitatore di esso Monastero; ed in vece del supposto Tesoro, han trovato i Cadaveri dè quali è parola; Ciò, che a me disse un di costoro, nomato Mastro Francesco Lo Giudice[3].

DSC01643 Figura 3: Scorcio del giardino del monastero

DSC03471 (800x571) Figura 4: Antico pozzo/cisterna 

NOTE

[1] Militi A., La truvatura della chiesa di Santa Maria: leggenda e simbolismo, in «Randazzo segreta», 2013, https://randazzosegreta.myblog.it/2013/12/21/la-truvatura-della-chiesa-santa-maria-leggenda-simbolismo (ultimo accesso: 01-02.2022).
[2] Onorato Colonna F., Idea dell’antichità della città di Randazzo, ms., 1724, Biblioteche riunite Civica e Ursino Recupero di Catania, Ms. B. 11.1 (Biblioteca Comunale di Randazzo riproduzione in fotocopia), pp. 35-36.
[3] Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, voll. I-II, ms. del 1847-9, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77 (Biblioteca Comunale di Randazzo riproduzione in fotocopia), vol. I, Libro I, p. 14 nota 1.

FONTI DELLE ILLASTRAZIONI

Figura 2: Monza, Museo del Duomo, Tesoro, Chioccia con i pulcini: http://www.summagallicana.it/lessico/c/chioccia%20con%207%20pulcini%20di%20Teodolinda.htm, agg. 2013.

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La donazione della baronessa de Quadro: “l’arma segreta” del clero di Santa Maria per conquistare l’egemonia religiosa?

“Frode è de l’uom proprio male”
Dante, Inf. XI, 25

Corre l’obbligo di precisare che questo breve contributo è l’anticipazione di uno studio più ampio e complesso, frutto di una lunga e paziente attività di ricerca, in corso di elaborazione e di prossima pubblicazione.

Il 15 maggio 1469, l’archimandrita Leonzio Crisafi pose fine o comunque una tregua all’annosa contesa che vedeva contrapposte le chiese di San Martino e San Nicola a quella di Santa Maria, circa l’esercizio giurisdizionale che ognuna vantava, pronunciando una piena equiparazione tra esse, stabilendo che ciascuna avrebbe esercitato a turno, per un anno, dal primo settembre al 31 agosto, il diritto di preminenza. Il 24 gennaio 1494, il viceré Ferdinando de Acuña emanò un’ulteriore approvazione dell’equiparazione.

La tregua tuttavia non durò a lungo: bastò una singolare quanto importante donazione a favore della chiesa di Santa Maria a minarla.

Il 5 marzo del 1507 la nobildonna Giovannella de Quadro, moglie del magnifico Pietro Rizzari, miles, per la propria anima e di quella di suo marito e dei suoi parenti, con il consenso e l’autorizzazione del coniuge, dona mediante una donazione irrevocabile inter vivos, alla chiesa di Santa Maria di Randazzo, e per essa al nobile Matteo de Longi, procuratore della stessa, i feudi Fraxini e Brieni siti nel territorio di Randazzo, riservando per sé e il marito l’usufrutto in vita e ponendo anche altre condizioni. L’instrumentum pubblico viene rogato in terra Randacii, dal notaio Hieronimus Curupeus, regius puplicus per totam vallem demonum regni sicilie notarii terre Savoce (“regio pubblico notaio per tutto il Valdemone e del regno di Sicilia e della terra di Savoca”), in presenza del giudice di Randazzo e di sette testimoni: il venerabile presbiter Philippus de Pulicio, il venerabile presbiter Micael lo Daynocto, il nobile Iohannes Thomasius Pullichino, il nobile Gullelmus de Modica, il magister Paulus Perchabosco, il magister Renaldus Intagla[1] e il magister Antonius Fassari.

Grazie a questa donazione la chiesa di Santa Maria amplia e consolida il proprio potere, assicurandosi così un’indiscussa egemonia economica sulle altre due chiese.

La donazione suscita notevoli perplessità e con queste i vecchi dissapori tornano a galla, facendo riaccendere, dopo la morte della baronessa, lotte, controversie e altresì vivacissime discussioni tra autorità ecclesiastiche e civili, che si protrarranno per diversi secoli.

Il documento originale di questa donazione, a meno di ulteriori rinvenimenti, è deperdito, e ci è pervenuta solamente una copia semplice cartacea incompleta (mancano, infatti, l’indicazione del nome del giudice, la sua sottoscrizione e quella dei sette testimoni), da me rinvenuta, e una copia autentica su pergamena, tràdita in forma di transunto, esemplata in forma pubblica il 19 marzo 1507 a Palermo dal notaio palermitano Giovanni Francesco Formaggio e sottoscritta dal giudice Geronimo de Maro e da cinque notai: Vincenzo de Sinatro, Antonio Taglianti, Lorenzo Vulpis, Vincenzo de Medicis e Antonio Giocomo de Lello. La completio, preceduta dal signum tabellionis del notaio autenticante Formahasu, è seguita da un’ulteriore nota, apposta il 20 marzo del 1507 dall’Università di Palermo, con la quale la stessa attesta che Iohannes Franciscus Formahasu è un notaio e si annuncia l’apposizione del sigillo, di cui è visibile solo un sottile strato di cera rossa, di forma rotonda.

Singolare, se non sospetto, risulta il fatto che anche il transunto non riporti la sottoscrizione del giudice che, dalla copia semplice, sappiamo esser stato presente alla stesura dell’atto. Ma ci sono altre incongruenze e contraddizioni che danno luogo a più di un interrogativo. Tuttavia, poiché in questa sede non posso approfondire il complesso argomento, mi limiterò ad esporre, in sintesi, l’elemento più ambiguo che ho ritenuto più rilevante e significativo, il quale, sommato agli altri aspetti, ha portato necessariamente a sollevare qualche legittimo dubbio sulla sincerità del documento, sospetti che hanno avuto la loro conferma definitiva con il rinvenimento dei testamenti di Gomes e Giovanni de Quadro, rispettivamente nonno e padre della nobildonna.

Nell’atto di donazione il notaio tiene a precisare che Giovannella «non ebbe né ha figli, né fratelli, né sorelle, né nipoti figli di fratelli o sorelle e successori in questi feudi», in realtà questa asserzione, viene smentita, almeno in parte, come vedremo, da alcuni documenti d’archivio inediti, dai quali sono emerse preziose e nuove notizie su Giovannella, sul padre Giovanni, sul nonno Gomes e sull’intero clan familiare. Essi hanno consentito di ricostruire non solo le vicende familiari ed economiche, ma anche l’intera genealogia dei de Quadro (Fig. 1), partendo dal capostipite Gomes, permettendoci così di inquadrare tutti i nuclei di parentela, a partire dai Filangeri, famiglia della mamma di Giovannella.

Genealogia baronessa de Quadro con fil. Figura 1: Genealogia baronessa De Quadro (schema dell’autrice)

Gomes, nonno di Giovannella (di cui possediamo diversa documentazione inedita d’archivio), è figlio naturale di Giovanni Romano, barone della terra di Montalbano. Nel maggio del 1423 gli viene assegnata da Alfonso V il Magnanimo, per privilegium la castellania e capitania del castello e della terra di Mola di Taormina quamdiu vitam duxeritis in humanis (ovvero per tutta la vita), con salario e con tutti i consueti diritti e le rispettive prerogative, privilegi, onori ed emolumenti dovuti. Un anno dopo, Gonsalvo de Monroy mediante una donazione inter vivos, cede a Gomes i feudi Fraxini e Brieni. Circa due mesi dopo, il primo novembre, sposa Agata, figlia del nobile Giovanni Ramundo (Raimondi). Dalla loro unione nasce Giovanni. Gomes, il 25 agosto 1455, a Catania, sebbene ammalato e giacente a letto, ma nel pieno delle sue facoltà mentali e intellettuali ed in grado di parlare, detta le sue ultime volontà al notaio Nicola de Balsamo, assistito dal giudice Ximenius de Lixandricio e da sette testimoni: il nobile Giovanni de Aprea, legum doctor, frate Benedetto de Naro, priore del convento di Sant’Agostino, frate Antonio de Iacino, frate Agostino de lo Bordato, il presbiter Antonio de Ricio, il nobile Antonio de Aprea, e il magister Giovanni Canali Cardo. Gomes istituisce erede universale di tutti i suoi beni il figlio Giovanni con vincolo fedecommissario. Egli, infatti, al fine di salvaguardare il mantenimento del patrimonio feudale nell’ambito familiare, predispone un sistema di sostituzioni, con chiamata dei nipoti “ex filio”, sempre comunque preferendo il maschio alla femmina, il maggiore al minore, e il minore alle femmine anche se le stesse maggiori di età. Nella circostanza in cui i nipoti “ex filio” dovessero morire prematuramente, oppure senza lasciare eredi legittimi, il testatore ne stabilisce la loro sostituzione fino all’ultimo (usque ad ultimum) con omnes liberi et nepotes dicti testotoris (“tutti i figli e i nipoti del testatore”), quindi Gomes consente anche la possibilità di chiamare alla successione, in mancanza di discendenza legittima, eventuali figli illegittimi. Dal testamento apprendiamo che ha anche un figlio naturale, Giovannello.

Giovanni consolida la sua posizione contraendo un vantaggioso matrimonio (da cui ottiene una dote di oltre settecento onze) con Beatrice, figlia di Giovanna Pardo e di Francesco Filangeri, barone delle terre di San Marco, che lo renderà padre di tre figli: Giovannella, la primogenita, Giovanni Francesco (che si presume morto in tenera età, in quanto non nominato nel testamento di Giovanni) e la terzogenita Tucia. L’11 ottobre del 1486, Giovanni iacens infirmus in lecto nella sua casa di Catania, ma nel pieno delle sue facoltà mentali, detta il suo testamento nel timore che la morte, come spesso accade, possa sopraggiungere all’improvviso, poiché nihil certius morte nilque incertius hora ipsius mortis (“niente è più certo della morte ma niente vi è di più incerto della sua ora”). Egli nomina eredi universali di tutti i beni mobili ed immobili le due figlie Giovannella e Tucia, con la riserva tuttavia che vengano ottemperate sia le disposizioni testamentarie che le Constitutiones feudorum, pertanto Giovannella, alla morte del padre, erediterà i beni feudali, mentre a Tucia spetterà la dote de paragio. Dispone, altresì, per salvaguardare il patrimonio feudale, che nell’eventualità Giovannella dovesse morire in minore età, oppure senza aver procreato eredi legittimi, di sostituirla con Tucia. Dal documento quindi apprendiamo un importante notizia, ovvero che a quella data Giovannella e Tucia, sono minorenni. La condizione di minorità è confermata dal fatto che Giovanni nomina come tutore e curatore cum ampla potestate delle figlie e dei suoi beni, il conte di San Marco, Riccardo Filangeri, zio materno delle bambine. Dal documento emerge, altresì, che lo stesso affida al Filangeri il nipotino Comiso, prevedendo quattro onze l’anno sui redditi dei feudi per gli alimenti.

Di lì a breve, tuttavia, la morte colse anche Riccardo, che morirà nel 1488, e le due sorelle passano sotto la tutela della zia Eleonora, badessa del monastero di San Benedetto di Catania. Nel 1490 Giovannella, poco più che diciasettenne, con il consenso, l’autorità e la potestà della zia, stipula i capitoli matrimoniali con Pietro Rizzari, portando in dote diversi beni mobili in Randazzo e i feudi ereditati. Dunque, grazie a questo importante documento è possibile risalire con esattezza all’anno di nascita della baronessa: 1473. Rimasta vedova e senza figli, quasi alla soglia dei quarant’anni (1512), a breve distanza di tempo, decide di contrarre nuove nozze: da un atto notarile, rogato nel novembre del 1513, infatti, risulta già sposata con il nobile Andrea Santangelo, cittadino di Catania. Da questo importante documento apprendiamo che Giovannella considerans et attenditis ad pura affectionem dilectionem et amore maritalem dona, con il consenso dell’honorabilis Antonino Cariola suo mundualdo, mediante donazione irrevocabile inter vivos, i suoi feudi ad Andrea Santangelo suo caro et amato marito. Stranamente in esso non vi è alcun cenno alla precedente donazione alla chiesa di Santa Maria.

Tralascio, per ovvie ragioni di brevità, di accennare i successivi documenti d’archivio inediti; mi limito a dire che Tucia sposa il nobile Antonio de Carducho (Carducci), secreto di Troina, al quale, come risulta da un documento del 1520, Giovannella ed Andrea dovevano ancora venti onze, somma residua che i coniugi dovevano al cognato come completamento della dote di Tucia.

Alla luce di quanto detto sinora, non vi è alcun dubbio che Giovannella ha una sorella e che la stessa è ancora viva nel 1520, pertanto, il fatto che il notaio Curupeus dichiari, nell’atto di donazione alla chiesa, il contrario suscita parecchi dubbi sulla genuinità del documento, facendo insorgere il sospetto che possa trattarsi di un falso in forma autentica. D’altronde non è raro che le falsificazioni avvenivano attraverso la richiesta di copie autentiche di documenti falsi, che esibiti all’ignaro notaio, non disponendo degli attuali strumenti di analisi forniti dalla diplomatica e dalla paleografia, in buona fede, li autenticava.

IMG_7879 filigAvviandomi a concludere questo breve contributo, non posso non accennare al documento più controverso, ovvero l’iscrizione scolpita sul basamento del suo monumento funebre:

Vixit annos LXXXV / obiit vero die XV iulii / sesquichiliade quinteque / olympiadis anno / quarto

L’epitaffio si apre con l’indicazione dell’età di morte di Giovannella, 85 anni; dopo questa indicazione troviamo il giorno della sua morte, 15 luglio, introdotto da obiit vero, segue l’anno della sua morte espresso con una formula inusuale.

Considerato che la baronessa concluse la sua vita terrena il 15 luglio del 1529, all’età di 56 anni, non vi è dubbio che l’iscrizione sia da considerarsi fittizia.

In conclusione, dunque, è legittimo sospettare che proprio la lotta all’egemonia tra le tre chiese possa aver spinto in favore della creazione di un documento in base al quale la chiesa di Santa Maria, entrando in possesso dei feudi della baronessa, avrebbe potuto ottenere l’egemonia economica sulle altre due?

Nel licenziare questo breve contributo, rivolgo un sincero ringraziamento a padre Domenico Massimino, arciprete della chiesa di Santa Maria, che con magnanimità ha messo a mia disposizione, in questi anni di lunga ricerca, l’archivio della chiesa, e per avermi consentito gentilmente di visionare, fotografare e studiare la pergamena.
Ringrazio sentitamente padre Gabriele Aiola, parroco della chiesa di San Nicola, per avermi gentilmente concesso e favorito la consultazione dell’archivio parrocchiale.
Ringrazio per la disponibilità dimostrata tutto il personale degli Archivi di Stato di Palermo, Catania, e di quello dell’Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona (Spagna).
Ringrazio tutti voi lettori che seguite sempre i miei studi. Grazie per la fiducia che mi avete concesso leggendo i miei lavori.

Ad maiora.

NOTE

[1] Nella copia autentica Iamagla.

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Randazzo in una foto del settembre 1895

Randazzo immortalata in una foto scattata nel settembre del 1895, durante l’inaugurazione della ferrovia della Circumetnea.

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Recueil. Voyage de Raymond Poincaré en Sicile et en Campanie, f. 16v, gallica.bnf.fr / Bibliothèque nationale de France

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Randazzo: una città speciale

In questi anni ho provato a raccontarvi una Randazzo diversa, misteriosa, affascinante, segreta.

Una città singolare con una storia millenaria, uno di quei luoghi ricco di fascino e sorprese. Una città dove ci sono almeno sette motivi che la rendono unica e speciale…

…è la città perfetta per il suo imprescindibile legame con il numero tre e i suoi multipli: Randazzo Ennea

…è la città prescelta dai Cavalieri Templari per la realizzazione di un singolare progetto:
una “Île de France” italiana

…è la città in cui è possibile ammirare uno dei rari esempi di chiesa lunistiziale: la chiesa di San Martino

…è la città che ha un palazzo trecentesco che cela un messaggio ermetico: Casa Lanza

…è la città in cui s’innalza il più bel campanile di Sicilia, che nasconde un messaggio segreto: il campanile di San Martino

…è la città che ha come simbolo una statua che nasconde antiche conoscenze esoteriche: la statua di “Rannazzu Vecchiu”

…è la città in cui un piccolo gioiello, un vero e proprio unicum, custodito dalla chiesa di Santa Maria è un capolavoro di emblematica sacra e di simbologia alchemica: il vecchio coro ligneo della chiesa.

Sette motivi che rendono Randazzo una città particolare, da vedere almeno una volta nella vita.

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Un vecchio coro ligneo: uno dei tanti tesori di Randazzo

Può un vecchio coro ligneo essere considerato un tesoro? Certamente, se oltre a essere antico le decorazioni dei suoi pannelli si ispirano all’emblematica sacra e ai più riposti segreti dell’Arte Regia. Un’opera lignea inusuale, forse unica nel suo genere, in quanto non sembrano esistere altri esempi di tali emblemi riprodotti su arredi sacri.

Uno dei pezzi d’arte lignea più incredibili della città. Un’opera particolare che merita di essere maggiormente valorizzata e scoperta, dopo anni di oblio.

Questo video, pertanto, vuole essere un’occasione per richiamare l’attenzione dei Randazzesi e non solo, su questo piccolo gioiello custodito nella chiesa di Santa Maria.

Buona visione!!!

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I tesori di Randazzo

Randazzo è una città da scoprire e da amare.
Buona visione.

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Alberto Angela svela le “Meraviglie” di Randazzo

Sabato 25 gennaio l’ultima puntata della terza stagione del programma televisivo “ Meraviglie. La Penisola dei tesori”, in onda in prima serata su Rai Uno, popolare trasmissione che racconta e svela le meraviglie dello Stivale condotta da Alberto Angela con la regia di Gabriele Cipollitti e la fotografia di Enzo Calò, parlerà di Randazzo.

Le “meraviglie” di Randazzo sono tante, ma le riprese si sono concentrate sulla chiesa di Santa Maria e Via degli Archi.

Una importante e bella occasione per far scoprire agli Italiani e non solo, la nostra meravigliosa Città.

meraviglie

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13-29 dicembre 1746: la visita generale di monsignor Tommaso Moncada, arcivescovo di Messina, nel “Libro rosso” della chiesa di San Nicola

Il 13 dicembre del 1746 giunse a Randazzo l’arcivescovo di Messina, monsignor Tommaso Moncada (fig. 1)[1], accompagnato da don Carlo Speciale e Basilotta [2], per compiervi la Visita Pastorale (visitatio pastoralis), nel corso della quale celebrò il rito della consacrazione della chiesa di San Martino (21 dicembre) e di quella di San Nicola (27 dicembre).

DSC09726 Figura 1: Randazzo, Canonica della chiesa di San Martino, Ritratto di monsignor Tommaso Moncada, Anonimo, olio su tela, XVIII sec.

Il resoconto completo di questa Visita si trova nel “Libro rosso” della chiesa di San Nicola[3]:

1746: Alli 13: di (dice)mbre giorno di Martedì, e della Gloriosa S(anta) Lucia / ad ’ ore 20:[4] capitò S(ua) E(ccellenza) R(everendissi)ma Arci(vesco)vo di Messina Fra Tommaso / de Moncada Domenicano Messinese Figlio del S(ignor) Principe / di Calvaruso, p(er) visita del suo governo; la mattina de’ 14: / giorno di mercoladì, venne nella ri(ve)r(end)a Chiesa di S(an) Nicolò per / la solita visita, e tenne chrisma, seguitò il Giovedì in San / Martino, ed il Vennerdì, in S(anta) Maria, il doppo pranzo tenne / ordinazione in minoribus in S(an) Bartolomeo, e la mattina 17. Sabbato / in Sacris in d(etta) S(an) Bartolomeo sendovi stati più di n(umero) 100: ord(inati) in / Sacris esteri, seguitò le solite visite; il giorno 20: (dice)mbre X I(ndizione) 46:[5] ad / ore 23: giorno di Martedì, dalla Chiesa Par(occhia)le di S(an) Martino si por/taro processionalm(ente) con tutto il clero delle tre Parocchie, e Monsig(ore) Arci/vescovo, e tre Canonici, cioè Decano D(on) Carlo Speciale, e Basilotta di / Nicosia che portava seco S(ua) E(ccelenza) R(everendissi)ma, D(on) Gaetano Galbato, e D(on) Giovanni / Costanzo Canonici di Tortorici, le reliquie de’ Gloriosi S(anti) Martiri S(an) / Placido, S(an) Sebastiano e S(an) Giorgio, (quale reliquia l’ebbe dal Mon(astero) di S(an) Giorgio / la divisata Parocchia) nella Ven(erabi)le Chiesa del Mon(astero) di S(an) Bartolomeo / dove stiedero tutta la Notte coll’assistenza de’ Sac(erdoti) cantandosi l’Offizio della / dedicazione, come fù dispenzato (per) tutti tal Offizio nel giorno di S(an) Tommaso; / la mattina 21: ben per tempo si portò Monsig(nore) nella predetta Par(occhia)le per far / la benedizione prescritta dal Pontificale d(i) Urbano 8°, e Clemente 8° di / felice memoria, e terminati, andò di nuovo processionalm(ente) a ripigliare / le soprascritte riliquie, e stando serrata la Chiesa doppo fatti tre giri / all’intorno della mede(si)ma si fermò innanzi la porta mag(giore) serrata, seco / tutto socchè prescrive il Pontificale, si disserrò la porta, e s’entrò nella chiesa, / seguitò la funzione, con avver posto nell’altare mag(giore) le riferite reliquie / e murato lui stesso la lapidetta, doppo celebrò la Messa, che terminò ad ’ ore 21: / sabbato 24: ad ’ ore 21: venne nella n(ost)ra Chiesa Madre e si cantò il / Vespro col Pontificale, la mattina 25 S(anto) Natale tenne il Pontificale // nella chiesa del Mon(astero) di [S(anta)] Catarina e cantò la Messa; il gio assistendo (per) Diacono / il Rev(erendissimo) Sig(nor) Arciprete (per) suddiacono l’Abb(ate) D(on) Pietro Parisi nostro can(onico) cappellano / Il giorno 26: (dice)mbre giorno del Glorioso Protomartire S(anto) Stefano principiò / alle ore 21: la funzione della Consacrazione della n(ost)ra Chiesa Madre di / S(an) Nicolò, con cinque Canonici, cioè il Decano Speciale, e quattro Can(onici) / di Sampiero sopra Patti Tesoriero D(on) Giovanni Busacca, D(on) Giuseppe Saita, / D(on) Vincenzo Gallo, e D(on) Filippo Spada, li quali portaro 4: Alunni, e due / rosserilli per assistere; collo stess’ordine prescritto si portaro le reliquie / de’ Gloriosi Martiri S(an) Biaggio, S(an) Sebastiano, e S(anto) Vito proprii della Chiesa, / nella Chiesa del Mon(astero) di S(anta) Catarina dove s’osservò della stessa forma; / la mattina Martedì giorno del Glorioso S(an) Giovanni Evangelista mio specialissimo avucato ad ’ ore 17. in circa, si portaro collo stesi ordine (si / anco dispenzato à tutti l’Offizio, e recitosi quello della Dedicazione, e / fù assignata la giornata di detta dedicazione pell’Offizio sotto li 11: Febraio / d’ogn’anno, giornata da me domandata a S(ua) E(ccelenza) R(everendissi)ma, e devonsi ogn’anno / acce(n)dere (per) ogni Croce una candela, e vi sono giorni 40: d’Indulgenze) / si seguitò la funzione, e terminò, ad ore 20: li 12 Croci furon onti col / Sagr’Oleo Crisma; tutto il piano della lapide dell’Altare Maggiore intiero / lavato con Sacri Olei Crisma è de’ Catecumini, quale devesi conservare con / gran venerazione; non acchianarsi di sopra nell’apparecchio della scalina, / o’ altro da farsi; sotto la prima lapidetta di marmo scritta, vi è un altra / lapidetta di marmo sotto la quale vi è il cassittino, il di fuori d’osso di tar/tarueca, il di dentro foderato di drappo di seta à color di perla; vi sono dentro le reliquie descritte, ed un puoco di grani d’Incenzo, con una parchimina[6] scritta / come siegue = MDCCXLVI die 27: M(ensis) (dece)mbris Ego Frat(ris) Tom(as) de Moncada / Archiep(iscop)us Messan(as) Consecravi Altare hoc in honorem S(ancti) Nicolai / et reliquias S(anctorum) Martirum Sebastiani, Blasii, et Viti in eo inclusi / et singulis Christi fidelibus, hodie unum Annum, et in Die anni/versario consecretionis huiusmodi ipsum visitantibus quadraginta / Dies de vera indulgentia, in forma Ecclesi(a)e consueta, concessi = / Il cassettino è dentro d’un altro di lorda bianca sugellato sotto, e sopra con / fetucia cremise con cera di spagna sopra e sotto col sugello di S(ua) E(ccellenza) R(everendissi)ma, che / sugellò con proprii Mano, e travaglio inconsiderabile d(ello) Monsig(nore) in tal funzione / si fece una piccola reconoscienza di (onze) 40: ed (onze) 18: alla famiglia ed ’altre spesi / pelle croci e tutto il bisognevole alle sud(ette) Consacrazioni c(he) prescrive il Ponti/ficale / oox[7]

In tale occasione l’arcivescovo Moncada concesse l’uso dell’almuzia (o almuzio)[8] ai dodici cappellani delle tre rispettive chiese[9]. Tale concessione comporta di solito una spesa per i religiosi e una nota riporta il resoconto completo della spesa, per un totale di 114 onze:

oox Monsig(nor) arrivò sotto li 13. (dice)mbre 1746: partì alli 29. di d(etto ) mese, / nello stesso tempo concesse, a tutte tre le Chiese l’uso dell’Almuzio / alli 12: beneficiati d’ogni Chiesa, di due colori violace, foderato di rosso / e negro colla stessa fodera ambi di seta la spesa fù (per) tal concessione / onze cinquanta (per) S(santa) Maria, onze trentadue la n(ost)ra Chiesa, quali pagano li benif(iciari), / ed ’ onze trentadue S(an) Martino, e ciò fù à riguardo della spesa fatta pella / consecrazione, d’aver pagato meno di S(anta) Maria, la qual patente / d’Almuzio stà registrata in questo libro a fol(io) 211:[10] / Quando la n(ost)ra Chiesa è Madre l’Offizio della Dedicazione all’11: di Febbraio / si fa coll’ottava (per) tutte e tre le chiese, lo stesso milita (per) S(an) Martino [11].

NOTE

[1] Il domenicano Tommaso Moncada, di antica e nobile famiglia, fu arcivescovo di Messina dal 1743 al 1762 (anno della sua morte). Prima di essere nominato alla sede arcivescovile di Messina, aveva ricoperto la carica di Vicario Generale e quella di Vicario Capitolare. Il 20 settembre 1751 venne insediato Patriarca di Gerusalemme dei Latini.
[2] Parroco della chiesa di Santa Croce di Nicosia e canonico decano di quella di Santa Maria. Fu Vicario Capitolare della diocesi di Messina per i paesi interni, durante l’epidemia di peste che colpì la Diocesi nel 1743. Morì nel 1751. (BERITELLI G., Notizie storiche di Nicosia, Palermo, Stamperia di Giovanni Pedone, 1852, p. 212.
[3] Ringrazio con stima padre Gabriele Aiola per la disponibilità e la cortesia usatami nel concedermi la consultazione dell’Archivio parrocchiale della chiesa di San Nicola.
[4] Ora Italica.
[5] La discordanza tra anno e indizione (X in luogo della IX) è dovuta ad un errore.
[6] Pergamena.
[7] Archivio della chiesa di San Nicola, Libro rosso, ff. 236v, 237r. Documento inedito. Per la trascrizione del testo del documento in generale non siamo intervenuti sulle scelte testuali, riproducendo di norma l’effettiva situazione del testo, rispettando rigorosamente scempiamenti e raddoppiamenti. La j è trascritta i; le abbreviazioni sono sempre sciolte tra parentesi tonde ( ); l’integrazione di lacuna è stata posta tra parentesi quadre [ ]. Si è inserita una barra obliqua / per segnalare la fine di ogni riga.
[8] Mantellina in pelliccia con cappuccio, che costituiva l’abito corale distintivo dei canonici di alcune cattedrali o collegiate.
[9] Grazie all’atto di concessione del beneficio conosciamo i nomi dei dodici cappellani della chiesa di San Nicola: reverendo don Giuseppe Bramonte, don Antonio Botta, don Giovanni Castiglione, don Pietro Rotelli, don Carmelo Romeo, don Paolino Tetto, don Franesco Orlando, don Pietro Parisi, don Prospero Xiandro, clerico don Francesco Romeo, don Sebastiano Germanà e don Vincenzo Varrica. Ivi, f. 210r.
[10] Antica numerazione.
[11] Ivi, f. 237v. Documento inedito.

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